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"Maurino lo chiudiamo stasera il giornale?". Il ricordo di Riccardo Regi

Mauro Barzagna con Oreste Testa Mauro Barzagna con Oreste Testa

"Maurino lo chiudiamo stasera il giornale?". Spesso e molto volentieri faceva finta di non sentire. Meticoloso fino all'ultima tag. Al titolo che non sfilava, alla foto sgranata, al refuso sulla didascalia, all'attacco poco efficace, alla data sbagliata.
"Maurino chiudiamo?". Ed era lì la mattina dopo che lo ritrovavi. Puntuale, con il righello e la matita quando ancora i menabò si dovevano disegnare e i format non se li era fagocitati il computer. Ma anche in quel caso aveva imparato a modificare il disegno alla faccia del pc che più di tanta fantasia non la poteva dare. Soprattutto pensando agli inizi. Quando era allo sport che gli suggeriva scontornati delle foto da mettere in pagina. Per la pallavolo, su tutto: e prima che Perugia diventasse quella sorta di capitale del volley che oggi è. Anche per merito suo. Poi, certo, il calcio. Il Grifo. E giù l'imitazione, impareggiabile, di Spartaco Ghini. Un must. Poi, ovvio, quella di Gaucci.
Dallo sport all'economia, col passare degli anni e il maturare della sua carriera coerente con la sua laurea. Quindi alla cronaca. Poi al coordinamento. "Maurino chiudiamo?". Peggio che prima. Per via del ruolo acquisito e del grande senso di responsabilità che si sentiva addosso, generosamente, anche nei confronti dei colleghi. Ora. Ma anche ieri. Sempre per amore del Corriere. Del posto di lavoro da difendere. Perché i tempi sono difficili. Me ne ero andato da qualche mese quando ho saputo che era stato poco bene; poi lo avevo rivisto all'insediamento del nuovo editore, Polidori, nella giornata in cui monsignor Maffeis aveva celebrato la messa in redazione. Ci siamo abbracciati. Lui si è commosso di un pianto vero e virile, di chi ha saputo tornare al suo posto. Voleva farmelo vedere.
"Maurino lo chiudiamo stasera il giornale?".
Abbiamo passato nottate intere a combattere reciprocamente la stessa battaglia. Spesso quando in redazione eravamo rimasti soli. E avevamo, allora, una meta che ci dava energia nei momenti più complicati: le vacanze a San Benedetto del Tronto. Con i figli. Allora davvero piccoli. A mangiare il pesce. Sì e no in più di 10 anni, ci saremo incrociati quattro o cinque volte e per poche ore. Ma era un'oasi bellissima da immaginare. Per entrambi. Un modo per darci forza e sopire la stanchezza di un lavoro che sentivamo di amare. E allora ci veniva in mente quell'isola di pace nemmeno tanto esotica, piuttosto normale e scontata soprattutto per noi perugini. Ma ci bastava. L'avventura di un mestiere straordinario ci appagava. "Maurino lo chiudiamo questo giornale, dai che tra un po' si va in vacanza". Spero tu possa trovarne un'altra come quella nostra isola, amico mio, dove sei ora.